Un tè con Laura Imai Messina

di G.Rossetti

Il giardino del Doozo

E’ passato tanto tempo da quando abbiamo avuto il piacere di incontrare Laura Imai Messina nella sua breve parentesi italiana “incastrandola” tra un impegno e l’altro in un tè nella cornice di Doozo, in una Roma che faceva le prove di primavera, durante il quale Laura ci ha raccontò”del suo Giappone” e del suo primo romanzo “Tokyo Orizzontale”. Da allora il suo successo è cresciuto moltissimo con i romanzi “Non oso dire la gioia”, “Wa” e l’ultimo straordinario caso editoriale di “Quel che affidiamo al vento”. Qui rispolveriamo l’invervista realizzata per voglia di giappone.

Laura Imai Messina

INTERVISTA


1.

D:
Prima di tutto parlaci un po’ di te. Vivi da più di 10 anni in Giappone. Cosa ti ha spinto a trasferirti?

R:
La lingua giapponese, il desiderio mai esaurito di imparare, la curiosità di capire una cultura così distante dalla nostra. D’altronde però non avrei mai pensato di trasferirmici stabilmente. A volte mi dico che questi anni sono stati come una scorpacciata di caramelle, che una si è tirata dietro l’altra con una naturalezza sorprendente e che, senza accorgermene, finito un pacchetto ne ho aperto un altro, e poi un altro ancora… e così via.

L’insegna del terminal 1 dell’Aeroporto Internazionale di Narita, Tokyo

2.
D:
Ricordi la prima sensazione arrivata nella Capitale? Riusciresti a descriverla.

R:
Ricordo il caldo umidissimo ed afoso di luglio, l’uscita dall’aeroporto,  i capelli che dal freddo secco della cabina dell’aereo si sono gonfiati in un attimo in un cespo di meduse. Ricordo l’enorme valigia rossa che mi aveva comprato appositamente mia madre per quel viaggio e che mi trascinavo a fatica per le scale delle stazioni. Ricordo accanto a me una donna in metro che si addormentò, posandomi il capo sulla spalla destra. Mi fece tenerezza.

Fu una sensazione di avventura, mista a spaesamento, all’attesa dell’incontro con la mia famiglia di homestay, alla voglia di capire quella lingua che ancora per lungo tempo mi sarebbe stata oscura.

 

“Se New York è una mela, Tokyo è un melograno…”
Tokyo Orizzontale, Laura Imai Messina

3.
D:

Parliamo del tuo primo romanzo partendo dal titolo: Tokyo Orizzontale. Cosa significa?

R:
Tokyo la si immagina proiettata perennemente verso l’alto, mucchietto ordinato di grattacieli alle pendici dei quali si agita caotica la vita dei suoi milioni di abitanti. La Tokyo che io amo e che ritengo più fedele al vero è invece quella del tappeto di casette a due piani che si spande a vista d’occhio percorrendo le linee della metropolitana di superficie. La verticalità si fa sporadica e incostante, l’orizzontalità è il senso stesso della calma che si respira allontanandosi anche di poco dalle stazioni, una vita che si gioca a piedi o in bicicletta, in cui circolano poche macchine, i postini consegnano la posta in bicicletta o in motocicletta e l’esistenza si dipana senza fretta. È tutta una questione di sguardi e quello orizzontale, più ancora di quello verticale, mostra una Tokyo che si può non solo visitare ma anche vivere ed amare.

Tokyo Orizzontale è questo: uno sguardo diverso sulla capitale del Giappone.

Particolare di Shibuya

4.
D:
Una metropoli dai forti contrasti, ricca di stimoli, immagini, informazioni, ma anche capace di creare distanze non solo per la sua estensione.  Quali sono le difficoltà maggiori nel vivere le relazioni interpersonali in una città come questa?

R:
A volte penso che la Tokyo che più si conosce all’estero abbia un suo preciso (giovanissimo) target anagrafico. La sua ampiezza giustifica d’altronde una rara possibilità, ovvero quella di scegliersi la parte che più si confà ai propri gusti e al proprio stile di vita.

Il senso di indifferenza che salva i giapponesi, ed i tokyoti in particolar modo, dallo scontro, dalla critica reciproca (che porterebbe probabilmente ad una psicosi collettiva), ha anche risvolti affettivi cui o ci si abitua in fretta o se ne soffre assai. Il modo di relazionarsi nella capitale è completamente diverso non solo da quello degli occidentali in generale, e degli italiani in particolare, ma anche da quello adottato nella provincia giapponese.

La distanza è qui considerata rispetto.  È onnipresente il 「気を遣う」ki wo tsukau, quel senso di cura per l’altro che significa anche riserbo, discrezione e da noi verrebbe facilmente scambiato per disinteresse. È forse ciò che negli anni ho notato soffrono maggiormente gli occidentali nei rapporti con i giapponesi.

Per farvi fronte credo sia fondamentale crearsi un cerchio di amicizie sincere e curarle senza lasciarsi andare alla pigrizia. In questo una relazione sentimentale può essere d’aiuto. Non bisogna  d’altronde lasciarsi scoraggiare, serve insistere proprio come in Italia si farebbe trasferendosi dalla propria città natale ad una in cui si trasloca per necessità o per amore.

Ciò che non bisogna mai dimenticare è che ogni chiusura sottintende una apertura: tutto sta nell’individuare la porticina e nell’abituarsi (e far abituare l’altro) a impugnare la maniglia, a spingerla e a tirarla.

5.
D:
In molti romanzi giapponesi  è forte il senso di solitudine. Tu scrivi che “la solitudine del corpo non esiste a Tokyo”.  Cosa vuol dire?

R:
Come il piacere fisico secondo Seneca nasce dalla mancanza di un malessere del corpo, così la solitudine si fa evidente proprio nel suo contrario, ovvero nella folla. I paradossi feriscono la gente, allontanano dalla razionalità il pensiero e si rimane impigliati nel sentimento del rifiuto: con tutta questa folla intorno, in una delle città più popolose al mondo, come è possibile che ci si senta tanto soli, che non si riesca a trovare un amore o un’amicizia? È lì il paradosso, nella fretta che domina la gente che continuamente passa oltre e spesso non ha (o sembra non abbia) tempo per fermarsi a chiacchierare.

Eppure, ribadisco: non è nella folla che si troverà compagnia. È nel cerchio di amicizie che si coltivano negli anni e che si incontrano nelle intersezioni del quotidiano. Ci vuole impegno e ci vuole cura, nulla arriva con facilità nè qui nè altrove sul pianeta.

Tokyo vista dall’alto. In primo piano la Tokyo Tower

6.
D:
Quali sono gli autori che ti hanno influenzata maggiormente? Mi viene in mente il nome di Ogawa Yōko per esempio…

R:
La letteratura giapponese deve avere indubbiamente giocato un suo ruolo ma, consciamente almeno, mi ispiro soprattutto allo stile ricco di certi scrittori italiani e francesi. Amo i romanzi che non raccontano storie complesse ma luoghi, personaggi, libri che a riassumerli magari bastano due righe ma che, nel fraseggio, nella descrizione, esprimono più di quanto non si veda.

Amo molto Perec, Seneca è una continua ispirazione, Flaubert, Cioran, la Deledda. Eppure mi ritrovo a leggere più saggi che romanzi da qualche anno a questa parte e trovo tantissimi spunti anche lì. Tutto nutre la scrittura, indifferentemente dalla forma narrativa.

7.
D:
Credi che l’uso quotidiano della lingua giapponese abbia in qualche modo contribuito al tuo stile di scrittura

R:
La mente si apre nell’apprendimento di una lingua e lo fa tanto di più quando il sistema di scrittura è distante. Credo che abbia indubbiamente, in un modo che però razionalmente non sarei in grado di spiegare, influenzato il mio stesso modo di pensare. Mi ha anche insegnato la frustrazione, l’accettazione di una lingua – qualunque essa sia – che non basta mai a se stessa.

Charles Simic ha scritto che:Essere bilingui è rendersi conto che il nome e la cosa non sono intrinsecamente collegati. A volte succede di ritrovarsi in un buco nero tra le due lingue. A me capita oggi, quando parlo in serbo, che non è più la mia lingua. Parto aspettandomi di trovare una parola, so che lì ce n’era, una volta, e invece trovo un buco e un silenzio”.

Io mi ritrovo a volte a cercare sul dizionario una parola italiana a partire da quella giapponese, per poi rendermi conto che semplicemente o non c’è o non era quella che mi aspettavo di trovare. È grottesco ma insieme affascinante.

È divenuto negli anni, anche per me, una sorta di bilinguismo, qualcosa che, davvero, ritengo abbia influenzato il mio stile di scrittura. È qualcosa che ti mette sempre di fronte ad un bivio, è una riflessione attenta, continua e ammirata sulla lingua. Ciò che davo per scontato non lo è più ed ora mi ritrovo a curare la mia lingua madre molto più di quanto non facessi quando abitavo in Italia.

8.
D:
Tokyo Orizzontale sembra raccontare vite vissute veramente attraverso un viaggio nelle tante Tokyo. Molti riguardo al tuo lavoro hanno scritto che in fondo la vera grande protagonista del romanzo è proprio Tokyo. E’ davvero così?

R:
Sì, lo credo anch’io. Tokyo l’ho sempre vissuta come una persona, mi rapporto a lei come si trattasse di un organismo vivente dotato di pulsioni proprie e soggetto a quel perenne cambiamento che abita tutte le creature. Credo di essermene innamorata da ragazza e nella scrittura di Tokyo Orizzontale è emerso chiaramente. Non la ritengo una città perfetta, ma piuttosto complessa, problematica, una nessuna e centomila.

Tutti i personaggi del romanzo vi si rapportano in modo differente, vi cercano chi l’amore, chi il successo, chi una vita nuova di zecca, chi la rimozione di ricordi dolorosi  e la città, a sua volta, fornisce ad ognuno delle risposte che non sono poi necessariamente quelle che loro si aspettavano o che credevano di desiderare.

Quindi sì, è Tokyo, in sintesi, il personaggio che tira tutte le fila della storia.

Veduta della Tokyo University of Foreign Studies

9.
D:
In Giappone insegni italiano all’Università  e tre anni prima dell’uscita del libro hai aperto Giappone Mon Amour, un blog molto seguito in Italia tra gli amanti del Giappone e non solo. In questi  anni qual è la domanda che gli italiani ti fanno più spesso riguardo usi e costumi dei giapponesi? E quale i tuoi studenti rispetto all’Italia?

R:
Gli italiani chiedono com’è il Giappone, vogliono risposta a domande sul comportamente sociale di questo popolo discreto, sono curiosi circa la cultura e la tradizione. Così come accade agli italiani, i giapponesi indagano gli stereotipi che il nostro paese offre al mondo, confutano etichette, domandano se davvero siamo allegri e spensierati, se veramente gli uomini sono galanti, se a colazione mangiamo solo dolci e se insceniamo violenti litigi per la strada.
Escono poi di frequente domande pratiche sulle mete di un viaggio, sui luoghi da visitare assolutamente. In generale però avverto tanta curiosità da ambo le parti mai su un solo aspetto ma su tanti, diversissimi, argomenti. E ammetto che stare in mezzo a questo traffico di voci sia estremamente piacevole.

10.
D:

Il nostro blog si chiama #vogliadiGiappone, qual è – se c’è- la voglia di Giappone di Laura Imai Messina oggi? Cos’è che ha ancora il potere di stupirti?

R:
C’è un certo Giappone che non conosco e che, proprio da questo prossimo giugno, mi si spalancherà. Per scaramanzia non anticipo nulla, ma esistono innumerevoli aspetti di questo paese che continuano ad incuriosirmi. Cambio io, cambia lui ed ogni anno la mia vita si modifica un po’. Febbraio e marzo, mesi durante i quali quasi tutte le università sono chiuse, i brevi viaggi che mi allontanano dal Giappone,  portano ogni anno grandi cambiamenti.
La voglia di imparare e di capire che mi ha spinto ormai quasi undici anni fa a trasferirmi qui non mi ha per fortuna mai abbandonato. C’è così tanto che non conosco ancora.  È questo, del vivere in Giappone in particolare e all’estero in generale, ciò che ritengo più affascinante.

Una stradina di Kichijoji

11.
D:

Ed infine…quali sono i “quartieri” di Tokyo preferiti  da Laura? Quali i locali che frequenti, insomma, dove si può finire per incontrarti nell’immensa Tokyo?

R:
Frequento quotidianamente Kichijoji, Mitaka. Per lavoro ho imparato a conoscere alcuni bellissimi tratti della Linea Yamanote, per studio la zona di Chofu e di Fuchu. Per scrivere frequento sempre Kichijoji, poi Koenji, mi spingo fino a Shibuya, ad alcuni caffè di Shinjuku e Harajuku.  Amo Shimokitazawa e in generale tutta la Linea Inokashira.

I miei orari, da alcuni anni, sono spostati tutti sul giorno più che sulla notte. Le mattine mi alzo prestissimo, mi tuffo in caffè o panetterie e apro il pc. Poi, impegni permettendo, riprendo il pomeriggio in altri caffè ancora dove basta una bevanda e un sandwiches per consumarvi delle ore . Ogni giorno ha il suo umore quindi anche il suo luogo.

L’entrata del Lion Café.
Costruito originariamente nel 1923 e ricostruito fedelmente nel 1950 è uno dei segreti
che si celano nella grande Tokyo
che conserva ancora tutto il fascino del passato.

Vado al Lion a Shibuya, di cui ho parlato diffusamente in Tokyo Orizzontale, in un altro caffè segreto in cui è imposto il silenzio agli avventori, nei Tully’s, Excelsior e Starbucks di cui è piena Tokyo (luoghi invece chiassosissimi dove si avverte l’energia pulsante della città) o nel caffè in cima alle torri del governo metropolitano di Tokyo, a Shinjuku, da cui si domina tutta Tokyo.

Se però si tratta di mangiare i luoghi cambiano ancora. Sono una golosona e per gustare cose buone sono disposta a farmi anche lunghi viaggi in giro per tutta la città. Lì spero di non incontrare mai nessuno perchè son certa mi starei abbuffando e non ci farei una gran bella figura. (^^);


La vista di Tokyo dalle Torri del Governo Metropolitano


Laura Imai Messina

Laura Imai Messina è nata a Roma, classe 1981, si è laureata in Lettere alla Sapienza Università di Roma.
A 23 anni si è trasferita a Tokyo, dove attualmente insegna italiano ed è ricercatrice di letterature comparate alla Tokyo University of Foreign Studies.

Abita nel quartiere di Kichijoji insieme a suo marito Ryosuke e alla cagnolina Gigia. Da qualche anno ha creato il blog Giappone Mon Amour.

Tokyo orizzontale è il suo primo romanzo edito da Piemme.

Titolo: Tokyo orizzontale
Se New York è una mela, Tokyo è un melograno. È dolce e sensuale, ma anche amara. In sé racchiude tanti chicchi, tutti schiacciati l’uno contro l’altro in una forzata convivenza, eppure sempre, inesorabilmente soli. A volte, però, qualche chicco si ribella; così può succedere che quattro giovani si incontrino per caso, una notte a Shibuya, il quartiere più folle della città, e decidano di avvicinarsi per provare a colmare quella invisibile distanza. Qualcuno lo fa per inseguire una favola d’amore, qualcun altro per lenire il dolore di un passato ingombrante, un altro ancora per cambiare vita e non farsi più trovare. Sara, Hiroshi, Carmen e Jun desiderano invece trovarsi, in un incontro che è sesso ma anche qualcosa di più profondo e vitale. È salvezza. È calamita che allontana dall’abisso. È casa. Tokyo orizzontale è la storia di un amore sprecato e di uno realizzato, e di una città immensa e piccolissima, insonne e paziente, gelida e sensuale.

Autore: Laura Imai Messina
Editore: Piemme
Pagine: 266
Prezzo: 14,50
Data di uscita: 11 febbraio 2014


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